
a.s. 2023/24
Di Paul Auster fino ad oggi non ho letto niente, e non credo leggerò ancora qualcosa, visto che le sue opere, come molta narrativa americana contemporanea, stanno dalla parte della quantità, necessariamente monstre.
Questo romanzo breve l'ho letto perché volevo partecipare a un incontro di lettura con le colleghe. Insomma, per doveroso piacere.
Ebbene, scelta non fu più felice.
Breve eppure ricco di espedienti narrativi, da farne uno splendido esempio per illustrare le categorie narratologiche.
Denso nei contenuti e nelle idee sottese.
Profondo nell'analisi psicologica, nei sentimenti narrati.
Capolavoro.


Ho sempre l'impressione, quando leggo autori del Giappone contemporaneo, che mi aspettino opere prive di quel nerbo narrativo che spinge a leggere per ritrovare, anche ex contrario, idee, passioni, divertimento. Questa è una di quelle opere. Graziosa, leggera, incredibilmente vincitrice di premi e segnalazioni. Da leggere sul treno, senza troppi problemi.
Non mi ricordavo se l'avessi letto e quando, pur conoscendone i contenuti. Ho voluto dunque approfittare della nuova traduzione di Ugo Dotti e della copertina accattivante per avvicinarmi una volta ancora alle parole del grande filosofo, uno degli scrittori che da decenni mi accompagna a piccoli sorsi.
Tutto quello che oggi molte terapie cognitivo-comportamentali e strategiche vi insegnano lui l'aveva già scritto: non è il numero degli anni che fa breve o lunga la vita, ma il modo in cui la costruiamo, il tempo che gestiamo senza esserne gestiti, le scelte che compiamo, la libertà che perseguiamo in modo autentico.


Ne hanno parlato diffusamente in occasione del lancio editoriale, chiamando anche il prof. Niola a comparire durante il Tg2 dossier della settimana del Ponte del 25 aprile. Chiariamo subito che la prosa di questo accademico, che appare affabile e simpaticissimo, è quanto di meno io apprezzi in termini di stile: sintassi spesso priva di proposizione principale, proposizioni nominali, accumulazione ternaria di aggettivi, calembour ripetitivi e alla fine ridondanti.
Tuttavia i contenuti, di taglio divulgativo, sanno rispondere con onesta chiarezza alla curiosità e all'interesse del lettore. Da regalare anche al turista che voglia sapere qualcosa di più su alcuni luoghi di tradizione e culto nella nostra Penisola.

Come alcuni di voi sanno, prediligo i racconti. Le parole di Concita De Gregorio su questa raccolta mi convincono: in uno di quei racconti si fa riferimento alla rivisitazione del mito classico di Didone, e come non potrei volerlo leggere, io che ho dedicato a quel mito il punto focale dell'epica di quest'anno?
Racconto sul mito di Didone a parte, i racconti sono poco avvincenti e poco ispirati. A mio parere, è il solito problema di chi predilige il romanzo e ora si dedica alla forma narrativa breve perché, finalmente, anche il mercato editoriale si sta spostando.
Non basta tuttavia ripetere sempre gli stessi stilemi con qualche variazione: non so voi, ma io cambiavo racconto e avevo l'impressione di averlo appena letto. Libro che non regalerò e non proporrò ai miei alunni.

Costretta a casa, ho trovato conforto in questo agile libretto dai contenuti che sollevano l'anima. L'autore, un sacerdote in solitaria, rilegge la vita di Maria come la persona che ha saputo farsi Annunciazione, cioè portare vita, cura, amore, perdono.
E' un libro che può benissimo leggere anche un ateo, perché vi troverà delle suggestive invenzioni narrative.
Ciò che invece non mi convince è lo stile: troppo intimista, a tratti sentimentale; maggiore asciuttezza sarebbe stata auspicabile.



Che hanno in comune questi tre romanzi, già letti in passato e oggi riletti? Tantissimi elementi, uno più sorprendente dell’altro.
Il motivo contingente che mi ha condotto a rileggerli insieme è che per ognuna delle mie tre classi ho scelto un titolo. Ma rileggere un libro, si sa, è farlo rivivere: e il gusto individuale, il contesto, le suggestioni personali e culturali hanno un peso rilevante per far sì che ogni lettura sia unica. Così ho potuto vedere più punti di contatto di quanto mi aspettassi. Ecco ne di seguito alcuni:
- L’uso dell’alcol per spingere il soldato ad affrontare il nemico come per conformarsi al pensiero del Grande Fratello, funzione di accompagnamento nell’oblio svolta dai sonniferi nel romanzo di Bradbury, bevanda di scadente qualità per sottolineare il ruolo subalterno dei non-cittadini di 1984. Come a dire: l’inconsapevolezza, l’incoscienza, lo spegnersi delle idee sono nemiche della libertà umana e della sua dimensione più autentica
- Il ruolo della lettura e della poesia nel supportare la componente umana, emotiva, affettiva della persona: Lussu legge Orlando Furioso, Smith cerca di ricostruire una vecchia filastrocca, Montag recita versi davanti alla moglie e ai vicini scandalizzati, cadendo così nella trappola della denuncia, Winston Smith rincorre per tutta la vicenda una filastrocca della tradizione passata;
- La tensione al pensiero critico anche laddove il ruolo imponga obbedienza, che non deve mai essere costruita sull’adesione acritica e priva dell’intelligenza (intus lego, vedo dentro) che rende l’uomo diverso dagli altri esseri della Terra.
È stata un’attività impegnativa, non lo nego. Ma il piacere del confronto e della scoperta mi hanno confortato e appassionato. Quanto mi spiace fin d’ora pensare ai molti studenti che si presenteranno con riassunti, mezze letture (due giorni fa sentivo che qualcuno di 280 pagine ne aveva lette solo 80 alla vigilia del laboratorio sul romanzo), idee approssimative sulla trama, figuriamoci sui contenuti ad usum posteritatis. Rileggetevi Fahrenheit 451 nel punto in cui Beatty ricorda i libri ridotti progressivamente a sunti di poche righe, brevi condensati, semplici battute. Tutto in nome dell’acquisizione ferma e determinata dell’incapacità di pensare. Quei tre autori, dalle vite e dalle storie così differenti, hanno invece sempre agito in nome della libertà di pensiero.

Dovevo parlare di Paolo Tarso nelle classi seconde, e perchè non leggere un commento a qualche lettera dell’Apostolo delle Genti in modo da saperne di più senza necessariamente affrontare un discorso esegetico più impegnativo?
Mi sono fatta ammaliare dal sottotitolo, lo ammetto. Ovviamente Papa Francesco non ne sbaglia una, e ogni suo commento è un monito per essere cristiani consapevoli e autentici. Tuttavia le informazioni che mi sono state utili per la lezioni sono state ben poche, e ho dovuto ricorrere ad un altro testo.

Arrivati a metà del romanzo si ha la sensazione che l'opera sia troppo ambiziosa nel voler tenere insieme tutto: il romanzo di formazione, la denuncia dei modi baronali dell'ambiente accademico, la ricostruzione di un fenomeno (la lotta politica e la contestazione) in un preciso contesto storico-geografico (la Viareggio degli anni '70), la satira nei confronti degli -ismi che abbondano nelle Facoltà di Lettere.
Dopodiché si tralascia l'analisi del modus narrandi e ci si gode il romanzo per quello che è: un libro garbato e graffiante nello stesso tempo, una lettura piacevole che con sé porta la descrizione dell'inconsistenza di certi modi accademici e del cazzeggio intellettuale di molti suoi esponenti, nonché una suggestione per riprendere in mano la riflessione sugli Anni di Piombo e per capire perché la società italiana di oggi è talmente individualista e arretrata da non accorgersi della propria decadenza.

Ammetto fin d'ora la mia colpevolezza, Vostro Onore. Non so apprezzare la letteratura americana quanto dovrei, tranne peraltro alcune eccezioni che Voi e i signori della Corte potrete reperire facilmente tra queste pagine. Trovo che molta letteratura americana sia sopravvalutata, spinta da generose borse di studio, da un orizzonte culturale più limitato in cui le valutazioni diventano giocoforza entusiastiche, e infine da una maggiore forza economica editoriale. Tutto questo fa sì che molti frutti narrativi nascano in un terreno dove si ritrova ben poco della profondità, della complessità e (perché no?) della storia e tradizione europea che chiamano a ben più cauti giudizi su molta parte della letteratura del Vecchio Continente, ma che forniscono anche prove ben più convincenti.
Pertanto, Vostro Onore, reputo questo romanzo una prova che non ha niente dell'opera magistrale che molti hanno ritrovato nelle sue pagine. La trovo stucchevolmente intellettualistica, sfrontata nel suo essere sgraziata, noiosa per larghi tratti. Sì, lo so, sono io a non capire. Certo che è meglio della postfazione di Doninelli, che vuole scrivere in modo talmente complesso da staccare tutti e affermarsi come campione di oscurità, tanto da battersela con Gianfranco Contini. Se invece si legge l'introduzione di Fernanda Pivano, si percepisce che l'onestà della recensione non può inventarsi lodi per una prova che non ha nulla del capolavoro, e allora la Pivano informa (com'è doveroso vista la sua vasta conoscenza della letteratura americana), annota qualche commento e poi lascia il giudizio al lettore. E il mio, Vostro Onore, è che non vale la pena leggere questo romanzo aspettandosi le illuminazioni spirituali, le intensità psicologiche e l'amore per la scrittura che invece si ritrovano altrove.