IDEE
necessariamente in fieri, in progress, en cours... questa pagina cambia a seconda dei tempi, delle situazioni, delle contingenze, dello stato di salute, delle suggestioni...
Avere fiducia nella vita: Paolo Cognetti spiega perché, e come anche la sofferenza faccia parte della vita. Il dott. Claudio Mencacci, presidente della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia, sottolinea come l'esempio di personaggi pubblici è fondamentale per eliminare lo stigma dalla malattia psichiatrica.
viaggiare in treno, viaggiare con l’anima
Visto lo scalpore sollevato dall'intervento di Alain Elkann sul quotidiano LaRepubblica, intervento in cui si descriveva un viaggio in treno con l'indesiderata compagnia di un gruppo di sfrontati adolescenti, ho voluto proporre ai miei alunni una riflessione sulle parole di Elkann e sulle reazioni conseguenti. Voglio esporre qualche commento anche qui, in modo più sintetico, perché credo che quell'articolo, da alcuni accusato di essere classista ed elitario, da altri apprezzato per aver descritto senza censure una circostanza sotto gli occhi di molti, interpelli per davvero tutti: adolescenti, adulti, anziani, uomini, donne, benestanti, poveri, proletari, privilegiati. Il dover assistere a scene di maleducazione e di protervia è capitato a molti, e purtroppo anche a molti dei miei alunni in diverse situazioni extrascolastiche. Il bullismo non si manifesta anche in quel modo? Gruppi di persone (giovani, adulte o anziane non importa) che invadono luoghi chiusi o aperti, impongono la propria presenza ad alta voce, occupano gli spazi altrui, pronunciano volgarità e parolacce brandendole come armi e mostrandole orgogliosi… Ricordate l'accaduto del raduno degli Alpini a Rimini? Fatte le dovute distinzioni, assolutamente necessarie, mi ha ricordato per analogia l'episodio descritto da Elkann: i lanzichenecchi erano cresciuti, e per di più portavano la penna nera sul cappello…
Non ignoriamo che sull'articolo incombe, come un macigno, l'accusa all'autore di essere altezzoso, di vantarsi delle letture colte e poliglotte, di guardare i ragazzi dall'alto in basso (tra uno tra tanti detrattori c'è il leader del M5S Giuseppe Conte).
Eppure reagire in questo modo è semplicistico e ingiusto.
Ingiusto perché non credo per esempio che Conte, al posto di Elkann, avrebbe provato a parlare con quei ragazzi: o forse sì, sentendosi peraltro mandare affanculo. Del resto, anche la parabola evangelica del seminatore fa riferimento alle buone parole che però rimbalzano sulla strada, come semi subito portati via dagli uccelli (Mt 13, 4),
Semplicistico perché di fronte a comportamenti di quel tipo qualche parola non basta: ci vuole esempio, costanza, tempo. Con tutta probabilità Elkann ha peccato di naïveté, quella sì derivata dalla sua formazione elitaria e quasi certamente poco avvezza, per i contesti frequentati, al mutare dei tempi: il disagio (giovanile) non è più direttamente legato alla condizione socio-economica, e se un tempo i contadini di Barbiana ammutolivano di fronte a chi disponeva di un vocabolario più ricco, oggi sfortunatamente (o volutamente: vedete voi) siamo caduti nel versante opposto. Nella società contemporanea la ricchezza culturale è spesso considerata una minusvalenza, come pure la discrezione e la cortesia (quelle autentiche, non quelle manierate del côté mondano).
La mia esperienza mi insegna che comportamenti di quel genere hanno bisogno di esempi concreti, di modelli condivisi tra scuola, famiglia e società, di proposte anche coraggiose perché controcorrente. Tutto ciò non significa cadere nel moralismo, nel perbenismo, nel grigiore. Ricordo che ho fatto a tempo a gustare i racconti dei vitelloni che partivano col treno da Milano per andare a Rimini e Riccione a fare i tombeur de femmes, e pur non condividendo per nulla quello stile di vita posso assicurare che non si sarebbero mai comportati come gli adolescenti descritti da Elkann. Certo che si vantavano, certo che erano goliardi, certo che non incarnavano la figura del fidanzato ideale: ma non avrebbero mai sfiorato la maleducazione espressa sul treno da quegli adolescenti.
Dunque che fare? Reagire. Purtroppo nessuno dei passeggeri ha chiesto di mitigare rumore e volgarità, neppure lo stesso Elkann, schiacciato dalle intemperanze del gruppo. Ma tali intemperanze non sono la normalità: smettiamola di raccontarcela come scusa. Rammento sempre agli alunni delle classi che prendo in carico che l'etimologia di "rispetto" si fonda sul "vedere gli altri, non solo me stesso". I giovani di quel vagone sembrano invece immersi in un orizzonte dove i simili spariscono o sono presenti solo in virtù del desiderio del branco. Appaiono egoisti, prigionieri della logica del gruppo, sotto sotto annoiati e privi di stimoli sfidanti. Insomma, sembrano non avere anima.
Noi esseri umani siamo fatti per ben altro: pur se limitata e a tratti indubbiamente fragile, la nostra esistenza ritrova se stessa nel cercare di vivere con gioia, di amare, di indagare con curiosità il mondo che ci circonda, di fare scoperte, di migliorare i guasti di chi ci ha preceduto, di raggiungere nuovi traguardi..
Tutto questo ce lo insegna anche la letteratura, da secoli. Per questo consiglierei a Trenitalia o a Italo di dotare i passeggeri che salgono a bordo non dello snack di benvenuto, ma di uno quei libretti di poche pagine (un tempo si chiamavano Millelire, editi da Stampa Alternativa) con qualche breve racconto su cui passare una parte del tempo del viaggio, e magari scambiare qualche opinione con il proprio vicino di scompartimento…
Lungi da me cadere nella retorica, ma voglio terminare con quanto ho scritto anche ai miei alunni: da persona e da insegnante con un buon numero di anni sulle spalle, ho conosciuto e conosco ragazzi e ragazze che da quegli adolescenti prenderebbero le distanze, e che con il loro buonumore, curiosità, energia positiva e giovialità, renderebbero il viaggio in treno un'esperienza felice.
Arrivederci dunque al prossimo viaggio insieme. Del resto, spesso nel viaggio non conta la meta ma i luoghi e gli incontri che attraversiamo:
Quando ti metterai in viaggio per Itacadevi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
né nell'irato Poseidone incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.
(Costantino Kavafis, Itaca, vv 1-12).
E se proprio proprio incontrassi dei lanzichenecchi come quelli descritti da Alain Elkann, cercherei qualche compagno di viaggio per ascoltare insieme Mica Van Gogh di Caparezza.
Splendida solitudo
Fu la mia docente prof.ssa Giorgina Pezza Tornamé a farmi conoscere Ada Negri e precipuamente negli anni dopo il liceo, quando ebbi la fortuna di frequentare la mia ex docente di lettere del liceo per alcune ricerche sulla letteratura e la storia delle nostre terre di Bassa. Oggi il nome di Ada Negri è quasi sempre legato al pregiudizio negativo per la sua nomina ad Accademica d'Italia: una nomina, a parer mio, frutto del risarcimento per non aver conseguito il Nobel per la letteratura, e comunque mai discosta dal frutto autentico della sua opera letteraria, troppo generosa per essere compressa nella definizione di "fascista" (peraltro la scrittrice non ebbe mai la tessera del partito). Di una persona è importante anche il percorso che fa, le amicizie che incontra, le idee che elabora e fa crescere: l'adesione al fascismo di Ada Negri svanisce di fronte all'amicizia, tutta femminista, con Anna Kuliscioff, con Margherita Sarfatti (donna di grande acume artistico e di sfortunato amore per il fondatore del fascismo), con altre figure di quegli anni, complesse e sfaccettate. Non dimentichiamo che la biografia di Ada Negri è avventurosa come quella di un marinaio che gira il mondo, pur se vissuta quasi tutta nella Bassa milanese-lodigiana, poi a Milano, e per un anno a Zurigo.
Per cercare di far comprendere quanto sia importante (e negletta) la figura di questa letterata, prendo a prestito le parole di due commentatori. Per prime le parole di Annalisa Grasso da un articolo su '900letterario:
Ada Negri è un graffiante e solitaria poetessa osteggiata dal mondo. Stella mattutina, uscito nel 1921, che ebbe un successo così vasto e concorde di pubblico e di critica come probabilmente la sua autrice non aveva ottenuto mai. il libro sembrò realizzare il sogno d'arte di Ada Negri: scrivere furiosamente, a rotta di collo, soltanto per sé, per liberazione, quasi senza saperlo; ma nello stesso tempo, come per incanto, trovare il gesto e l'accento, il tono e l'espressione, la verità. [Vi si ritrova] l'amarezza, l'odio, la ribellione nei confronti di una società che fonda i suoi modelli sulla ricchezza e la discriminazione. Persino l'intelligenza e ancor di più il talento sono spesso ignorati, quasi snobbati, derisi, e solo pochi riescono a "brillare" in questa selva materialista. Ada Negri (…) sa che il mondo che la circonda le è ostile e non la favorisce in nulla.
Tra le opere di Ada Negri, spicca anche Le solitarie: 18 ritratti di donne appartenenti [come la scrittrice] a ceti umili, a esclusione di poche donne benestanti, per la maggior parte eccentriche, o dal punto di vista esteriore (ricorrente è la presenza del fisico brutto o anomalo, che ne giustifica l'emarginazione) o psicologico, per la posizione che loro malgrado si trovano a vivere rispetto alla 'normalità'. La stessa Ada Negri parla di questi ritratti femminili presentandoli come "umili scorci di vite femminili sole a combattere: malgrado la famiglia, sole: malgrado l'amore, sole: per propria colpa o per colpa degli uomini o del destino, sole. Le conobbi, le studiai, le riprodussi, cercando di attenermi il più crudamente possibile alla verità. Ahimè!… Troppe volte la verità è più amara di un tossico."
Si tratta di esistenze al limite dell'isolamento e dell'abnegazione di sé, sotto il peso di un ambiente socialmente ostile che l'autrice compenetra con partecipazione emotiva e sapienti doti narrative. I racconti hanno conosciuto da subito una grande fortuna (…) anche perché funzionali a un sotteso scopo di denuncia sociale che troverà un'importante eco nella letteratura femminista di secondo Novecento. Ada Negri fu partecipe dei movimenti femminili dell'epoca, aperta sostenitrice degli ideali socialisti. Le solitarie sono diventate un importante riferimento per la conquista dei diritti civili delle donne.
Vi propongo infine una parte del graffiante editoriale di uno spirito eclettico come Giacomo Properzj, guarda caso da una testata come Linkiesta:
Ada Negri, nata nel 1870, aveva avuto un rapido anzi rapidissimo successo perché a 25 anni era già la più nota poetessa italiana. Successo determinato dalle sue prese di posizione in politica, molto cariche di impegno sociale e di polemica contro lo stato borghese e, in generale, contro i ricchi. Nell'ottobre del 1888 fu nominata insegnante elementare a Motta Visconti, aveva una classe di 107 allievi. 107 energumenti che parlavano solo il dialetto, camminavano a piedi nudi e che, ovviamente, non riusciva a controllare se non con l'aiuto di qualche collega (…) Alla fine della Prima Guerra Mondiale ritorna in Italia e riprende i contatti, che non aveva mai interrotto, con le amiche "sovversive": Anna Kuliscioff – che avrà su di lei una grande influenza, positiva nel senso letterale della parola, perché la dottoressa russa era notoriamente positivista; Margherita Sarfatti, molto autorevole nel mondo culturale milanese che gli presenterà, vedi un po', Benito Mussolini. (…) la quasi dimenticata poetessa, sovversiva, socialista rivoluzionaria, fascista, repubblichina, scapigliata, impressionista, forse lesbica certamente disperata è stata la più grande poetessa italiana del '900 alla faccia del politicamente corretto!
Tutto ciò, e mi scuso se mi sono dilungata, per testimoniare la gratitudine con la quale ho potuto conoscere la vita e il contributo di Ada Negri, che solo la professoressa Tornamé mi ha sa suggerire e indicare come rilevante artista e intellettuale della nostra letteratura, nella sua, sempre sullo sfondo ma mai rinnegata, splendida solitudo.
Per questo motivo oggi voglio presentare una lirica di Ada Negri tratta dalla raccolta Fons amoris (1939-43, pubblicata postuma nel 1946). Una lirica che io, come altri, trovo struggente, superbamente saggia, intensamente evocativa. Se la possono di primo acchito comprendere meglio coloro che, come me, hanno la giovinezza anagrafica alle spalle, consiglio (e io lo farò!) di farla leggere soprattutto ai giovani (e a quelli che non vogliono invecchiare a tutti i costi), perché abbandonino l'infruttoso e doloroso terrore di ciò che significa "il passare degli anni":
Mia giovinezza
Non t'ho perduta. Sei rimasta, in fondo
all'essere. Sei tu, ma un'altra sei:
senza fronda né fior, senza il lucente
riso che avevi al tempo che non torna,
senza quel canto. Un'altra sei, più bella.
Ami, e non pensi essere amata: ad ogni
fiore che sboccia o frutto che rosseggia
o pargolo che nasce, al Dio dei campi
e delle stirpi rendi grazie in cuore.
Anno per anno, entro di te, mutasti
volto e sostanza. Ogni dolor più salda
ti rese: ad ogni traccia del passaggio
dei giorni, una tua linfa occulta e verde
opponesti a riparo. Or guardi al Lume
che non inganna: nel suo specchio miri
la durabile vita. E sei rimasta
come un'età che non ha nome: umana
fra le umane miserie, e pur vivente
di Dio soltanto e solo in Lui felice.
O giovinezza senza tempo, o sempre
rinnovata speranza, io ti commetto
a color che verranno: - infin che in terra
torni a fiorir la primavera, e in cielo
nascan le stelle quand'è spento il sole.
I risultati Invalsi - 2023 edition
E anche quest'anno si levano le geremiadi sui risultati Invalsi, peggiorati dall'effetto pandemia, ça va sans dire (per chi volesse interrogare i dati, qui il rapporto dell'Istituto). E smettiamola una buona volta di nasconderci dietro la DaD, che ormai sta diventando il parafulmine di ogni cosa. Perché dopo la seconda guerra mondiale il nostro Paese subì un periodo di caduta culturale? O non c'era più voglia di ripartire, leggere, discutere, fare, imparare, arrivare?
Si legge che il 49% dei ragazzi dell'ultimo anno delle superiori non raggiunge il livello della sufficienza (pag. 80 del citato rapporto). Ahimé, la colpa è senz'altro anche mia, che sono un'insegnante di Lettere. Sono pronta a fare autentica ammenda in un luogo meno frettoloso e un po' più strutturato: a voi la scelta. Mi chiedo però, a questo punto, perché all'Esame di Stato non sia respinto/non ammesso il 49% degli alunni. O forse si invoca la scuola come panacea di tutti i mali, di tutte le lacune, di tutti disagi e di tutte le incompetenze? Non nascondiamoci dietro la retorica: non si impara solo a scuola, e non si impara a scuola se si passa una buona parte del tempo a svolgere progetti, a partecipare ad uscite didattiche, a soddisfare il percorso di competenze trasversali per l'orientamento, ad andare allo sportello di consulenza psicologica, a telefonare alla mamma e al papà perché assumano un buon avvocato per fare ricorso al Tar dopo una bocciatura. I populismi si sprecano e generalizzare mi è odioso: ma perché l'adolescente che mi sta davanti non ha mai visto mamma o/e papà leggere un romanzo o un quotidiano? E perché, quando imploro i ragazzi di scrivere a mano e in corsivo, mi si risponde con un sorriso di compatimento? Se non ci credete, consultate questo articolo ben scritto: Scrivere a mano ci ha reso più intelligenti, ma i bambini non sanno più farlo.
Ho aspettato un mese, per lasciar decantare i sentimenti, le reazioni, i commenti di autorevoli editorialisti, le narrazioni istintuali e quelle già pronte nell'archivio delle redazioni dei mass media. Ma ora è tempo di ragionare e finanche di esprimersi su Silvio Berlusconi e ciò che fu il berlusconismo: perché è vero che agli uomini si deve la dignità della morte, ma alla storia non giova l'oblio e nemmeno la menzogna. Credo che le parole più chiare e oneste, nonché opportunamente tempestive, siano state quelle di Rosy Bindi pronunciate il 14 giugno in un'intervista ad Avvenire, il quotidiano della CEI. Qualcuno dirà che anche quello è ormai un quotidiano schierato dalla parte dei comunisti.. (Per chi vuole, l'intervista è disponibile al link precedente in formato mp3: tempo di ascolto di dieci minuti)
Ecco come in 3 minuti e 30 il Presidente della Repubblica smentisce con autorevolezza la vulgata dell'attuale Governo, secondo il quale tamponi e vaccinazioni anticovid sono inutili, l'ingiustizia sociale una leggenda comunista, le tasse da pagare secondo progressione di reddito un obbrobrio
A scuola ho potuto incontrare genitori degni di autentica e profonda stima, di generosa intelligenza, pronti a costruire ponti pur di migliorare l'azione didattica. Li ricordo, questi genitori, alcuni dei quali mi hanno dimostrato vicinanza in momenti difficili del mio percorso di essere umano (lutti, malattie gravi); penso ai loro figli, ora miei ex-alunni, che stanno costruendo la loro vita ma trovano sempre il tempo per ricordarsi ogni tanto di me, con stima e affetto ricambiati.
Purtroppo ho conosciuto un'esigua ma invadente minoranza di famiglie che chiedeva più giustificazioni di quelle riservate agli assenti: giudicanti, proterve, e financo minaccianti.
Quanto ai minaccianti cascano male: nel mio precedente lavoro ho avuto a che fare con individui di ogni tipo, tra cui veri e propri criminali destinati al Codice Penale.
Ma anche i giudicanti e i protervi, sempre pronti a voler mettere in discussione le decisioni del docente, dovrebbero capire che non fanno un buon servizio ai propri figli. Nell'immediato perché indispettiscono il docente, che quindi associa lo studente a quel fastidio; e allora se ne allontana, lo lascia andare come una barchetta gonfia magari di voti positivi ma pronta a inabissarsi al primo temporale. Nel lungo-medio termine perché, come scrive il sempre autorevole prof. Galimberti,
alle superiori i ragazzi vanno lasciati andare a scuola senza protezioni; lo scenario è diverso, devono imparare a vedere che cosa sanno fare senza protezione. Se la protezione è prolungata negli anni, come vedo, essa porta a quell'indolenza che vediamo in età adulta.
Ne scriveva, con lucida intelligenza e sobria sintassi, Natalia Ginzburg nel 1962. Le sue parole sembrano pronunciate oggi:
Al rendimento scolastico dei nostri figli, siamo soliti dare un'importanza che è del tutto infondata. E anche questo non è se non rispetto per la piccola virtù del successo. Dovrebbe bastarci che non restassero troppo indietro agli altri, che non si facessero bocciare agli esami; ma noi non ci accontentiamo di questo; vogliamo, da loro, il successo, vogliamo che diano delle soddisfazioni al nostro orgoglio. Se vanno male a scuola, o semplicemente non così bene come noi pretendiamo, subito innalziamo fra loro e noi la bandiera del malcontento costante; prendiamo con loro il tono di voce imbronciato e piagnucoloso di chi lamenta un'offesa. Allora i nostri figli, tediati, s'allontanano da noi. Oppure li assecondiamo nelle loro proteste contro i maestri che non li hanno capiti, ci atteggiamo, insieme con loro, a vittime d'una ingiustizia. E ogni giorno gli correggiamo i compiti, anzi ci sediamo accanto a loro quando fanno i compiti, studiamo con loro le lezioni. In verità la scuola dovrebbe essere fin dal principio, per un ragazzo, la prima battaglia da affrontare da solo, senza di noi; fin dal principio dovrebbe esser chiaro che quello è un suo campo di battaglia, dove noi non possiamo dargli che un soccorso del tutto occasionale e illusorio. E se là subisce ingiustizie o viene incompreso, è necessario lasciargli intendere che non c'è nulla di strano, perché nella vita dobbiamo aspettarci d'esser continuamente incompresi e misconosciuti, e di essere vittime d'ingiustizia: e la sola cosa che importa è non commettere ingiustizia noi stessi.
Ovviamente la domanda è un trabocchetto: conoscere se stessi significa non andare mai al di là della giusta misura. Eccedere, sballare, esagerare, accendere scoppiettanti fuochi di artificio... l'equivoco del troppo, tanto, sempre ci perseguita. Eppure la felicità sta nel conoscere ciò che possiamo fare nel miglior modo possibile. Lontanissimi dal "dover essere" ad ogni costo, circostanza tanta amata nella contemporaneità... Otto minuti spesi bene.
La saggezza di un sociologo che forse derubricheremo a banalità... purtroppo.
Abbiamo perso un’occasione che ci è costata, e ci costerà (vedere i dati della pandemia nel corso di questi anni) davvero molto, in ogni senso. Le morti nell'impotenza dei sanitari e dei familiari, le sofferenze di famiglie, città. Paesi, l’economia in grande difficoltà, i ritmi smarriti degli affetti quotidiani.
Abbiamo imparato qualcosa?
A vedere le file in tangenziale, i gruppi di ragazzi vocianti alle due del mattino in Piazza, il disordinato rincorrersi degli annunci e controannunci nella politica e nell'economia, l'acuirsi delle differenze e degli individualismi una volta scampato il pericolo, il disprezzo per le mascherine raccomandate e ormai sparite dall'orizzonte (l’elenco potrebbe continuare a lungo), non abbiamo imparato granché. Una società che non impara dai propri errori ma li esibisce come un trofeo non è in decadenza, è già in decomposizione.
Più vedo questo breve video e più mi convinco che pregiudizi e ignoranza vanno di pari passo. Dato che pare di moda, se non motivo di orgoglio, essere arroganti e di mente limitata (narrow minded fa più figo?), mi piace contrapporre la sapiente umiltà di Aldo Onorati e, naturalmente, la grandezza incommensurabile di Dante: uomo degli inizi del Trecento, modernissimo, straordinario, affascinante nella figura di uomo denso di passione civile e di devozione religiosa, esemplare nella voce di poeta senza tempo.
L'educazione sentimentale - contributo di Umberto Galimberti
Credo che l'educazione sentimentale, come viene definita nel contributo di Umberto Galimberti a cui vi rimando, dovrebbe riempire il primo biennio delle superiori anziché le improduttive esercitazioni INVALSI e le ripetute pedanterie sul testo di don Lisander.
Ci ho riflettuto: io stessa, durante i tre anni delle scuole medie e il biennio del liceo, ho ricevuto un'ottima educazione sentimentale. Non so se i miei docenti ne fossero consapevoli o se piuttosto fosse scontato, e quindi neppure degno di essere indagato, il fatto che si dovesse leggere molto, di tutto, e riflettere tra sé e sé su ciò che si era incontrato tra le pagine.
Segnalo questo intervento perché sono sempre più convinta che vada sostenuta e sollecitata la consapevolezza che la letteratura non è semplicemente una materia scolastica da ridurre in polpette ministeriali, ma un pozzo profondo da cui attingere senza timore che il secchio torni vuoto.
Ducit vel ducitur?
Educat vel educatur?

Cogolo di Pejo, centralissima piazza Monari, statua lignea di san Giuseppe con il bambino Gesù. Il motto inciso sul basamento è quasi ammiccante; si spiega con il rapporto tra il Dio-bambino e il padre - genitore putativo, ma ha anche il pregio di riassumere con incisiva espressività la quintessenza del rapporto didattico, o per lo meno di come dovrebbe essere.
Insegnare, a dispetto del nome, non significa portare un'insegna dietro la quale viene un gregge, ma costruire una relazione didattica bidirezionale, a tratti circolare.
Di innaffiatoi che versano secchiate d'acqua sulle teste dei giovani virgulti, come fonti taumaturgiche e imprescindibili, si può fare benissimo a meno.
Agli studenti si porge la mano; si indica un percorso, si aspetta, ci si fa guidare stando attenti a non sbagliare strada, si riprende il cammino dopo una pausa, si accelera, si chiede: come va?, si ritorna sui propri passi, ci si ferma per osservare un cartello, si riprende con vigore. Ducit vel ducitur.
Peraltro, se gli studenti non porgono la mano, significa che preferiscono stare all'ombra dell'insegna come il rassicurante cartello di un gruppo di gitanti. Modo pecudum, scelta loro; probabilmente non si accorgeranno neppure dell'occasione sprecata come, per l'appunto, certe comitive di turisti contenti di appartenere al "gruppo vacanze Piemonte".
Potete trovare questa tela al National Football Museum di Manchester, dove rimarrete colpiti per due motivi:
a) la potenza evocativa dell'immagine, piaccia o non piaccia il soggetto
b) l'efficace rappresentazione del PERCHE' studiamo storia!
